sabato 3 novembre 2018

DISPOSITIVI MEDICI; MADE IN ITALY?

Luca Martinelli

Dispositivi Medici Made in Italy

 (già pubblicato - 2015 - aggiornato al luglio 2018)

Premessa
Una grande maggioranza di coloro che acquistano un dispositivo medico sulla cui etichetta è indicato un fabbricante italiano, sono convinti che il prodotto sia MADE IN ITALY. Non è detto che lo sia.

Per legge sull’etichetta di un dispositivo medico deve obbligatoriamente essere indicato il nome ed il recapito del fabbricante, è quindi logica conseguenza che se un fabbricante è italiano vi sia indicazione del nome e recapiti italiani.
Anche se il fabbricante è italiano, il dispositivo potrebbe però essere stato interamente fabbricato all’estero e quindi non essere Made in Italy.
La legge che regola il Made in Italy è a se stante dalla legge che regola i dispositivi medici.
Il concetto di Fabbricante nel senso inteso dalla Direttiva Europea sui dispositivi medici, (Direttiva Europea 93/42/CEE e sue successive modifiche) è un concetto di responsabilità, non è pertanto relativo a chi ha realmente fabbricato il dispositivo o dove l’ha fabbricato o fatto fabbricare ma a chi lo immette sul mercato a suo nome.

Il fabbricante secondo la Direttiva dispositivi medici
La Direttiva, così come la legge italiana che recepisce la Direttiva Europea in Italia, è chiara nella definizione di fabbricante, dalla lettura di essa apprendiamo che il fabbricante indicato in etichetta, cioè colui che a suo nome immette il prodotto sul mercato, può addirittura non essere neanche il fabbricante reale del prodotto.

Il legislatore si è preoccupato principalmente di attribuire la responsabilità ad un solo soggetto lasciando ad esso facoltà di far fabbricare il dispositivo medico anche a terzi ed in qualunque luogo del mondo, individuandolo come unico responsabile della conformità ai requisiti di sicurezza.
Leggiamo la definizione di fabbricante indicata dalla legge.
Direttiva Europea:
Articolo 1 lettera f –
f) fabbricante: la persona fisica o giuridica responsabile della progettazione, della fabbricazione, dell'imballaggio e dell'etichettatura di un dispositivo in vista dell'immissione in commercio a proprio nome, indipendentemente dal fatto che queste operazioni siano eseguite da questa stessa persona o da un terzo per suo conto.
Gli obblighi della presente direttiva che si impongono al fabbricante valgono anche per la persona fisica o giuridica che compone, provvede all'imballaggio, tratta, rimette a nuovo e/o etichetta uno o più prodotti prefabbricati e/o assegna loro la destinazione di dispositivo
in vista dell'immissione in commercio a proprio nome. Il presente comma non si applica alla persona la quale, senza essere il fabbricante ai sensi del primo comma compone o adatta dispositivi, già immessi in commercio in funzione della loro destinazione ad un
singolo paziente;

Decreto Italiano che recepisce in Italia la Direttiva
Articolo 1 lettera f –
f) fabbricante: la persona fisica o giuridica responsabile della progettazione, della fabbricazione, dell'imballaggio e dell'etichettatura di un dispositivo in vista dell'immissione in commercio a proprio nome, indipendentemente dal fatto che queste operazioni siano eseguite da questa stessa persona o da un terzo per suo conto. Gli obblighi del presente decreto che si impongono al fabbricante valgono anche per la persona fisica o giuridica che compone, provvede all'imballaggio, tratta, rimette a nuovo, etichetta uno o più prodotti prefabbricati o assegna loro la destinazione di dispositivo in vista dell'immissione in commercio a proprio nome. I predetti obblighi non si applicano alla persona la quale, senza essere il fabbricante compone o adatta dispositivi già immessi in commercio in funzione della loro destinazione ad un singolo paziente;

Dalla lettura della definizione appare immediatamente chiaro che:
1-    il fabbricante è colui che immette sul mercato a suo nome un dispositivo medico ma non è detto che esso sia anche il fabbricante reale.
2-    Il dispositivo medico immesso sul mercato non necessariamente è realizzato dal fabbricante che appare sull’etichetta e non necessariamente il dispositivo è fabbricato in Italia.

Questo significa che possiamo trovare un fabbricante italiano che realmente fabbrica i prodotti e li fabbrica interamente in Italia, ma possiamo invece trovare anche un fabbricante italiano che non fabbrica affatto il dispositivo medico, magari lo fa fabbricare in Cina o in Pakistan facendolo poi semplicemente transitare dai propri stabilimenti per operazioni di accettazione, controllo della conformità, marcatura e confezionamento ad hoc o che, nel caso di dispositivi acquistati già pronti, li fa transitare presso di lui solo per un controllo e per un operazione di rilascio del lotto per poi immetterli sul mercato tal quali.

Se a chi acquista un dispositivo medico non interessa che esso sia MADE IN ITALY il problema non sussiste.

Se un operatore (per operatore sanitario si intende un medico, uno specialista, un paramedico, il Servizio Sanitario Nazionale ecc.)  od un consumatore (cioè un cittadino che utilizza un dispositivo medico prescrittogli dal medico o che lo acquista direttamente perché di libera vendita) sceglie invece  un dispositivo italiano per ragioni di qualità, per ragioni politico-sociali o semplicemente perché ritiene di essere in qualche modo di aiuto al mondo del lavoro collegato alle aziende del MADE IN ITALY è opportuno che verifichi prima di tutto la presenza sull’etichetta o sul dispositivo dell’indicazione esplicita “MADE IN ITALY" e, cosa importante, richieda comunque una dichiarazione di origine della merce (chiamata dal legislatore origine non preferenziale) che il fabbricante non avrà difficoltà a fornire direttamente o attraverso il suo distributore.

E’ possibile che l’indicazione MADE IN ITALY non sia presente ne in etichetta ne sul dispositivo in quanto in Italia non è obbligatorio apporla, in questo caso l’operatore o il consumatore che crede di aver acquistato un prodotto MADE IN ITALY, o che come tale gli sia stato indicato dal venditore, deve pretendere dal fornitore  una dichiarazione del fabbricante che il prodotto è MADE IN ITALY.

La stessa cosa avviene per i materiali di costruzione, capita spesso ad esempio di trovare dispositivi con l’indicazione “Acciaio italiano” (Italian stainless – Italian stainless steel) o ancora “Acciaio tedesco” (Germany stainless – Germany stainless steel).
Anche in questo caso sarebbe buona norma chiedere la dichiarazione di origine dell’acciaio utilizzato, chi non ha niente da nascondere non avrà mai alcuna difficoltà a fornire tale dichiarazione.

E’ ipotizzabile che qualcuno dichiari il falso scrivendo sul prodotto MADE IN ITALY o che rilasci dichiarazioni che il prodotto è MADE IN ITALY anche se non lo è? Questo è un altro problema, tutto è ipotizzabile ma per questo ci sono le autorità di controllo.

Le regole del MADE IN ITALY
Ma esattamente cos’è che conferisce l’origine “Non preferenziale” (cioè il Made in) alla merce?

Fughiamo prima di tutto un possibile malinteso fra MADE IN ITALY 100% MADE IN  ITALY,  sono due cose completamente diverse

100% MADE IN ITALY significa che tutto, dalla materia prima fino all’ultima lavorazione, è totalmente italiana ed è interamente fabbricato in Italia; il MADE IN ITALY è una cosa un po’ diversa, vediamolo.

La materia è molto più complessa di quello che può apparire, non c’è infatti un modo veramente unico, chiaro, inequivocabile per attribuire il Made in Italy.

La legge stabilisce che al fine di acquisire l’origine non preferenziale italiana (origine non preferenziale significa “MADE IN ….”) un prodotto deve subire una trasformazione sostanziale sul territorio italiano.

Cioè a dire che una materia prima può non essere italiana, oppure un prodotto può arrivare in Italia già come semilavorato ma deve subire delle lavorazioni che conferiscano una trasformazione tale da rendere quella materia o quel semilavorato di fatto un prodotto diversonuovotrasformato per l’appunto, rispetto a come è entrato in Italia.

Le attività di sola conservazione di un prodotto o di modifica dell’aspetto esteriore (come ad esempio il cambio della confezione o dell’imballaggio) non sono sufficienti a conferire l’origine italiana alla merce in quanto non modificano nella sostanza la merce stessa (il bene tale era e tale rimane sia pur con aspetto esteriore forse migliorato o leggermente differente).
Ovviamente neanche il fatto che un brevetto sia italiano, che l’idea del prodotto o il suo progetto, la realizzazione dello stile (il famoso Italian Style) o la realizzazione di eventuali disegni avvengano in Italia è sufficiente per l’attribuzione dell’origine “italiana”.
La legge indica alcune lavorazioni come non sufficienti per poter attribuire il MADE IN ITALY al prodotto. E’ anche vero però che, come nel caso ad esempio delle scarpe, è sufficiente assemblare in Italia una tomaia lavorata interamente in Cina poter scrivere MADE IN ITALY sulla calzatura… ogni commento è superfluo.

Navigando fra le righe della legge, rimanendo quindi assolutamente nella piena legalità, si può tuttavia aggirare ulteriormente l’imposizione della lavorazione (trasformazione) sostanziale.

Tutto si basa sul calcolo (che non andremo ad esporre nel dettaglio in questa sede) del valore di acquisto della merce fabbricata in un altro paese ed importata in Italia rispetto ai costi sostenuti per le lavorazioni anche semplici di essa ed alla differenza fra il valore di acquisto di questa, del valore delle lavorazioni eseguite in Italia, del prezzo di listino al pubblico e quindi della percentuale del margine di guadagno che ne consegue, insomma un vero e proprio equilibrismo, ripetiamo in piena legalità, un lecito gioco di prestigio per arrivare comunque a dimostrare, da un punto di vista legale, che la merce può essere dichiarata MADE IN ITALY.

Ma l’aspetto legale rispecchia ciò che realmente il consumatore crede e che legittimamente si aspetta?

Le definizioni legali dell’origine della merce possono trarre un po’ in inganno i meno esperti.

Quando si parla di origine preferenziale della merce trattiamo di un argomento esclusivamente doganale, significa cioè che stiamo parlando di merce realizzata all’interno dell’Unione Europea che in esportazione verso paesi non europei usufruisce di vantaggi daziali, cioè il cliente straniero che importa la merce paga meno dazio (tasse) in pratica è solo una questione di pagare più o meno tasse.

Dichiararne l’origine preferenziale non è neppure un atto obbligatorio.

Quando si parla di MADE IN si parla di origine non preferenziale della merce cioè delle regole che stabiliscono come un prodotto può essere dichiarato originario di un paese, in questo caso l’Italia.

Queste regole si pensi che possono addirittura variare in quanto oggetto di apposita negoziazione fra Paesi o i gruppi di Paesi.

Anche in questo caso non è obbligatorio rilasciare la dichiarazione di origine, certo che rifiutarsi di fornirla ad una esplicita richiesta di un operatore o di un consumatore getta un ombra sul prodotto o quanto meno genera legittimi dubbi.

Conclusioni
Le proposte di riforma di legge del MADE IN ITALY presentate nel tempo sono sempre naufragate, non c’è interesse da parte delle aziende italiane a fabbricare i prodotti interamente in Italia per ragioni di costo e quindi di guadagno (con evidente riflesso negativo anche sull’occupazione) si preferisce continuare a seguire le indicazioni europee (codice doganale Europeo) senza porre reali restrizioni nazionali sostanziali a tutela di un oggettivo e reale MADE IN ITALY.

Se il prodotto reca l’indicazione 100% MADE IN ITALY (100% fabbricato in Italia ecc.) è obbligatorio per legge che tutto ciò che viene impiegato per la sua lavorazione, dalle materie prime alle lavorazioni, dalla marcatura al confezionamento, avvenga al 100% in Italia.

L’operatore o il consumatore che nella scelta di un dispositivo medico pone come discriminante che esso sia MADE IN ITALY ha tutto il diritto di chiedere e di ricevere dal fabbricante una dichiarazione che il dispositivo è fabbricato in Italia (cioè MADE IN ITALY).

Allo stesso modo l’operatore o il consumatore che nella scelta di un dispositivo medico pone come discriminante che esso sia 100% MADE IN ITALY ha tutto il diritto di chiedere e di ricevere dal fabbricante una dichiarazione che il dispositivo è fabbricato interamente in Italia (cioè 100% MADE IN ITALY).

Il fabbricante ha il dovere, ma sicuramente anche il piacere, di rendere disponibile ai clienti-consumatori la dichiarazione richiesta.

Fabbricare realmente un Made in Italy è assolutamente motivo di vanto per un azienda italiana.

Dichiarare falsamente Made in Italy è un reato e reca danno al consumatore, all’importatore straniero e ancor più al nome dell’Italia.

Riferimenti legislativi:
-Decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46. Attuazione della direttiva  93/42/CEE, concernente i dispositivi medici;
-Decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 37, Attuazione della direttiva 2007/47/CE che modifica le direttive 90/385/CEE per il ravvicinamento delle legislazioni degli stati membri relative ai dispositivi medici impiantabili attivi, 93/42/CE concernente i dispositivi medici e 98/8/CE relativa all'immissione sul mercato dei biocidi;
-Regolamento (CE) n. 450/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, che istituisce il codice doganale comunitario;
-Testo del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 - legge di conversione 20 novembre 2009,
n. 166;
-Art. 59-60 del Reg. (UE) n.952/2013, artt. 31/36 del Reg. Delegato (UE) n.2446/2015;
-Nota n. 70339/RU del 16 luglio 2018 dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli Vai al documento dell'Agenzia>Click Here