Luca Martinelli
Dispositivi Medici Made in Italy
Pubblicazione 25 Aprile 2015
(già pubblicato su www.ispettorisanitari.it)
Premessa
Una
grande maggioranza di coloro che acquistano un dispositivo medico sulla cui
etichetta è indicato un fabbricante italiano, sono convinti che il prodotto sia
MADE IN ITALY. Non è detto che lo sia.
Per legge sull’etichetta di
un dispositivo medico deve obbligatoriamente essere indicato il nome ed il
recapito del fabbricante, è quindi logica conseguenza che se un fabbricante è
italiano vi sia indicazione del nome e recapiti italiani.
Anche se il fabbricante è
italiano, il dispositivo potrebbe però essere stato interamente fabbricato
all’estero e quindi non essere Made in Italy.
La legge che regola il Made
in Italy è a se stante dalla legge che regola i dispositivi medici.
Il concetto di Fabbricante nel senso inteso dalla
Direttiva Europea sui dispositivi medici, (Direttiva Europea 93/42/CEE e sue
successive modifiche) è un concetto di responsabilità, non è pertanto relativo
a chi ha realmente fabbricato il dispositivo o dove l’ha fabbricato o fatto fabbricare
ma a chi lo immette sul mercato a suo nome.
Il fabbricante secondo la
Direttiva dispositivi medici
La
Direttiva, così come la legge italiana che recepisce la Direttiva Europea in
Italia, è chiara nella definizione di fabbricante, dalla lettura di essa apprendiamo
che il fabbricante indicato in etichetta, cioè colui che a suo nome immette il
prodotto sul mercato, può addirittura non essere neanche il fabbricante reale
del prodotto.
Il legislatore si è preoccupato
principalmente di attribuire la responsabilità ad un solo soggetto lasciando ad
esso facoltà di far fabbricare il dispositivo medico anche a terzi ed in
qualunque luogo del mondo, individuandolo come unico responsabile della conformità
ai requisiti di sicurezza.
Leggiamo la definizione di
fabbricante indicata dalla legge.
Direttiva
Europea:
Articolo 1 lettera f –
f) fabbricante: la persona fisica o giuridica responsabile della
progettazione, della fabbricazione, dell'imballaggio e dell'etichettatura di un
dispositivo in vista dell'immissione in commercio a proprio nome, indipendentemente dal fatto che queste
operazioni siano eseguite da questa stessa persona o da un terzo per suo conto.
Gli obblighi della presente direttiva che si impongono al
fabbricante valgono anche per la persona fisica o giuridica che compone,
provvede all'imballaggio, tratta, rimette a nuovo e/o etichetta uno o più
prodotti prefabbricati e/o assegna loro la destinazione di dispositivo
in vista dell'immissione in commercio a proprio nome. Il
presente comma non si applica alla persona la quale, senza essere il
fabbricante ai sensi del primo comma compone o adatta dispositivi, già immessi
in commercio in funzione della loro destinazione ad un
singolo paziente;
Decreto
Italiano che recepisce in Italia la Direttiva
Articolo 1 lettera f –
f) fabbricante: la persona fisica o giuridica responsabile della
progettazione, della fabbricazione, dell'imballaggio e dell'etichettatura di un
dispositivo in vista dell'immissione in commercio a proprio nome, indipendentemente dal fatto che queste
operazioni siano eseguite da questa stessa persona o da un terzo per suo conto.
Gli obblighi del presente decreto che si impongono al fabbricante valgono anche
per la persona fisica o giuridica che compone, provvede all'imballaggio,
tratta, rimette a nuovo, etichetta uno o più prodotti prefabbricati o assegna
loro la destinazione di dispositivo in vista dell'immissione in commercio a
proprio nome. I predetti obblighi non si applicano alla persona la quale, senza
essere il fabbricante compone o adatta dispositivi già immessi in commercio in
funzione della loro destinazione ad un singolo paziente;
Dalla lettura della definizione appare immediatamente chiaro che:
1- il fabbricante è
colui che immette sul mercato a suo nome un dispositivo medico ma non è detto che esso sia anche il
fabbricante reale.
2- Il dispositivo medico
immesso sul mercato non
necessariamente è realizzato dal fabbricante che appare sull’etichetta e non
necessariamente il dispositivo è fabbricato in Italia.
Questo significa che possiamo trovare un fabbricante italiano
che realmente fabbrica i prodotti e li fabbrica interamente in Italia, ma
possiamo invece trovare anche un fabbricante italiano che non fabbrica affatto
il dispositivo medico, magari lo fa fabbricare in Cina o in Pakistan facendolo poi
semplicemente transitare dai propri stabilimenti per operazioni di accettazione,
controllo della conformità, marcatura e confezionamento ad hoc o che, nel caso
di dispositivi acquistati già pronti, li fa transitare presso di lui solo per
un controllo e per un operazione di rilascio del lotto per poi immetterli sul
mercato tal quali.
Se a chi acquista un dispositivo medico non interessa che
esso sia MADE IN ITALY il problema non sussiste.
Se un operatore (per operatore sanitario si intende un
medico, uno specialista, un paramedico, il Servizio Sanitario Nazionale
ecc.) od un consumatore (cioè un
cittadino che utilizza un dispositivo medico prescrittogli dal medico o che lo acquista
direttamente perché di libera vendita) sceglie invece un dispositivo italiano per ragioni di
qualità, per ragioni politico-sociali o semplicemente perché ritiene di essere
in qualche modo di aiuto al mondo del lavoro collegato alle aziende del MADE IN
ITALY è opportuno che verifichi prima di tutto la presenza sull’etichetta o sul
dispositivo dell’indicazione esplicita “MADE IN ITALY" e, cosa importante,
richieda comunque una dichiarazione di origine della merce (chiamata dal
legislatore origine non preferenziale) che il fabbricante non avrà difficoltà a
fornire direttamente o attraverso il suo distributore.
E’ possibile che l’indicazione MADE IN ITALY non sia presente
ne in etichetta ne sul dispositivo in quanto in Italia non è obbligatorio
apporla, in questo caso l’operatore o il consumatore che crede di aver
acquistato un prodotto MADE IN ITALY, o che come tale gli sia stato indicato
dal venditore, deve pretendere dal fornitore
una dichiarazione del fabbricante che il prodotto è MADE IN ITALY.
La stessa cosa avviene per i materiali di costruzione, capita
spesso ad esempio di trovare dispositivi con l’indicazione “Acciaio italiano”
(Italian stainless – Italian stainless steel) o ancora “Acciaio tedesco” (Germany
stainless – Germany stainless steel).
Anche in questo caso sarebbe buona norma chiedere la
dichiarazione di origine dell’acciaio utilizzato, chi non ha niente da
nascondere non avrà mai alcuna difficoltà a fornire tale dichiarazione.
E’ ipotizzabile che qualcuno dichiari il falso scrivendo sul
prodotto MADE IN ITALY o che rilasci dichiarazioni che il prodotto è MADE IN
ITALY anche se non lo è? Questo è un altro problema, tutto è ipotizzabile ma
per questo ci sono le autorità di controllo.
Le
regole del MADE IN ITALY
Ma esattamente cos’è che conferisce l’origine “Non
preferenziale” (cioè il Made in) alla
merce?
Fughiamo prima di tutto un possibile malinteso fra MADE IN ITALY e 100% MADE IN ITALY, sono due cose completamente diverse
100% MADE IN ITALY significa che tutto,
dalla materia prima fino all’ultima lavorazione, è totalmente italiana ed è
interamente fabbricato in Italia; il MADE
IN ITALY è una cosa un po’ diversa, vediamolo.
La materia è molto più complessa di quello che può apparire, non
c’è infatti un modo veramente unico, chiaro, inequivocabile per attribuire il
Made in Italy.
La legge stabilisce che al fine di acquisire l’origine non preferenziale italiana (origine
non preferenziale significa “MADE IN ….”) un prodotto deve subire una trasformazione sostanziale sul
territorio italiano.
Cioè a dire che una materia prima può non essere italiana, oppure
un prodotto può arrivare in Italia già come semilavorato ma deve subire delle
lavorazioni che conferiscano una trasformazione tale da rendere quella materia
o quel semilavorato di fatto un prodotto diverso,
nuovo, trasformato per l’appunto, rispetto a come è entrato in Italia.
Le attività di sola conservazione di
un prodotto o di modifica dell’aspetto esteriore (come ad esempio il cambio
della confezione o dell’imballaggio) non sono sufficienti a conferire l’origine
italiana alla merce in quanto non modificano nella sostanza la merce stessa (il
bene tale era e tale rimane sia pur con aspetto esteriore forse migliorato o
leggermente differente).
Ovviamente neanche il fatto che un
brevetto sia italiano, che l’idea del prodotto o il suo progetto, la
realizzazione dello stile (il famoso Italian Style) o la realizzazione di
eventuali disegni avvengano in Italia è sufficiente per l’attribuzione
dell’origine “italiana”.
La legge indica alcune lavorazioni come non sufficienti per
poter attribuire il MADE IN ITALY al prodotto. E’ anche vero però che, come nel
caso ad esempio delle scarpe, è sufficiente assemblare in Italia una tomaia
lavorata interamente in Cina poter scrivere MADE IN ITALY sulla calzatura… ogni
commento è superfluo.
Navigando fra le
righe della legge, rimanendo quindi assolutamente nella piena legalità, si può
tuttavia aggirare ulteriormente l’imposizione della lavorazione (trasformazione)
sostanziale.
Tutto si basa sul calcolo (che non andremo ad esporre nel
dettaglio in questa sede) del valore di acquisto della merce fabbricata in un
altro paese ed importata in Italia rispetto ai costi sostenuti per le lavorazioni
anche semplici di essa ed alla differenza fra il valore di acquisto di questa,
del valore delle lavorazioni eseguite in Italia, del prezzo di listino al
pubblico e quindi della percentuale del margine di guadagno che ne consegue,
insomma un vero e proprio equilibrismo, ripetiamo in piena legalità, un lecito gioco
di prestigio per arrivare comunque a dimostrare, da un punto di vista legale,
che la merce può essere dichiarata MADE IN ITALY.
Ma l’aspetto legale rispecchia ciò che realmente il
consumatore crede e che legittimamente si aspetta?
Le definizioni legali dell’origine della merce possono trarre
un po’ in inganno i meno esperti.
Quando si parla di origine
preferenziale della merce trattiamo di un argomento esclusivamente
doganale, significa cioè che stiamo parlando di merce realizzata all’interno
dell’Unione Europea che in esportazione verso paesi non europei usufruisce di
vantaggi daziali, cioè il cliente straniero che importa la merce paga meno
dazio (tasse) in pratica è solo una questione di pagare più o meno tasse.
Dichiararne l’origine preferenziale non è neppure un atto
obbligatorio.
Quando si parla di MADE
IN si parla di origine non
preferenziale della merce cioè delle regole che stabiliscono come un
prodotto può essere dichiarato originario di un paese, in questo caso l’Italia.
Queste regole si pensi che possono addirittura variare in
quanto oggetto
di apposita negoziazione fra Paesi o i gruppi di Paesi.
Anche in questo caso non è obbligatorio rilasciare la
dichiarazione di origine, certo che rifiutarsi di fornirla ad una esplicita
richiesta di un operatore o di un consumatore getta un ombra sul prodotto o
quanto meno genera legittimi dubbi.
Conclusioni
Le proposte di riforma di legge del MADE IN ITALY presentate
nel tempo sono sempre naufragate, non c’è interesse da parte delle aziende italiane
a fabbricare i prodotti interamente in Italia per ragioni di costo e quindi di guadagno
(con evidente riflesso negativo anche sull’occupazione) si preferisce
continuare a seguire le indicazioni europee (codice doganale Europeo) senza
porre reali restrizioni nazionali sostanziali a tutela di un oggettivo e reale MADE
IN ITALY.
Se il prodotto reca l’indicazione 100% MADE IN ITALY (100%
fabbricato in Italia ecc.) è obbligatorio per legge che tutto ciò che viene
impiegato per la sua lavorazione, dalle materie prime alle lavorazioni, dalla
marcatura al confezionamento, avvenga al 100% in Italia.
L’operatore o il consumatore che nella scelta di un
dispositivo medico pone come discriminante che esso sia MADE IN ITALY ha tutto
il diritto di chiedere e di ricevere dal fabbricante una dichiarazione che il
dispositivo è fabbricato in Italia (cioè
MADE IN ITALY).
Allo stesso modo l’operatore o il consumatore che nella
scelta di un dispositivo medico pone come discriminante che esso sia 100%
MADE IN ITALY ha tutto il diritto di chiedere e di ricevere dal fabbricante
una dichiarazione che il dispositivo è fabbricato interamente in Italia (cioè
100% MADE IN ITALY).
Il fabbricante ha il dovere, ma sicuramente anche il piacere,
di rendere disponibile ai clienti-consumatori la dichiarazione richiesta.
Fabbricare realmente un Made in Italy è assolutamente motivo
di vanto per un azienda italiana.
Dichiarare falsamente Made in Italy è un reato e reca danno al
consumatore, all’importatore straniero e ancor più al nome dell’Italia.
Riferimenti
legislativi:
-Decreto legislativo 24
febbraio 1997, n. 46. Attuazione della direttiva 93/42/CEE, concernente i dispositivi medici;
-Decreto legislativo 25
gennaio 2010, n. 37, Attuazione della direttiva 2007/47/CE che modifica
le direttive 90/385/CEE per il ravvicinamento delle legislazioni degli stati
membri relative ai dispositivi medici impiantabili attivi, 93/42/CE concernente
i dispositivi medici e 98/8/CE relativa all'immissione sul mercato dei biocidi;
-Regolamento (CE) n. 450/2008 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 23 aprile 2008, che istituisce il codice doganale
comunitario.
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